Giornata della Memoria a Soncino

29/01/23 21:00 - 23:00

La Compagnia Caraval Spettacoli di Soncino presenta “La banalità del male” tratto dal saggio di Hannah Arendt.

Interventi: Prof.Stefano Levi della Torre
Nell’ultima pagina de I sommersi e i salvati, Primo Levi fa un’affermazione che ci sorprende e ci spiazza. Parlando degli operatori del Lager, Primo Levi arriva a mettere tra virgolette la definizione di “aguzzini” perché lo ritiene “improprio” (sic, p. 166): nei campi di sterminio, dice, tra i i tedeschi i sadici erano una presenza trascurabile: Ciò che nei Lager è accaduto fa pensare a individui distorti, nati male, sadici, affetti da un vizio d’origine. Invece erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: salvo eccezioni non e erano mostri, avevano lo stesso nostro viso, ma erano stati educati male. (p. 166-167). 

Che cosa ci saremmo aspettati? Che quell’atrocità organizzata su vasta scala e senza limiti non potesse venir condotta se non da esseri “disumani”. Questa era la nostra aspettativa “logica”. Un’aspettativa in un certo senso rassicurante: gente normale come noi non arriverebbe mai a fare simili cose; solo dei sadici patologici potrebbero spingersi a tanto, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Questo ci viene in mente, ed è un nostro meccanismo di riparo dall’orrore: spontaneamente cerchiamo un sollievo dall’angoscia pensando “logicamente” che, nel suo complesso, il personale del Lager fosse di una specie animale diversa da noi. Invece il Reich hitleriano e il sistema dei Lager erano la gigantesca e mostruosa organizzazione della normalità umana, la mobilitazione ideologica verso obiettivi mostruosi della banalità che è in ognuno di noi. L’affermazione di Primo Levi sulla normalità dei funzionari del Lager (“erano fatti della nostra stessa stoffa; avevano lo stesso nostro viso”) non diminuisce l’orrore; al contrario lo aumenta, perché ci dice come la normalità, la nostra stessa normalità, possa trovare mille giustificazioni private che la rendano disponibile a far funzionare, ciascuno per la sua parte, un colossale sistema di distruzione dell’uomo (e dell’ambiente, aggiungeremmo oggi). Ora, consideriamo che quando viene avanti l’idea che la nostra vita o la nostra sicurezza possa valere mille volte la vita e la sicurezza degli altri; o quando in nome di una superiorità morale, civile o religiosa ci si abbandona ad atti che contraddicono e smentiscono proprio i principi di cui ci si vanta; o quando la concorrenza per le risorse del pianeta si decide che alcuni gruppi umani hanno diritto alla libertà e al benessere e si condannano altri alla fame, alla schiavitù e alla morte; allora Auschwitz non apparirà solo come un gigantesco crimine del passato, ma anche come una oscura profezia di qualcosa che è sempre possibile, se non in atto. La memoria di Auschwitz ci pone due domande fondamentali, l’una che guarda alle vittime, l’altra agli esecutori. La prima è questa: per quali circostanze storiche e politiche che non avremo saputo arginare, e per quale isolamento nell’indifferenza altrui, potremmo diventare vittime di persecuzione e di strage? La seconda domanda è questa: per quali circostanze storiche e politiche a cui non avessimo saputo o voluto trovare alternative, potremmo diventare carnefici, o collaboratori, attivi o passivi, dei carnefici? Che cosa ci può accomunare oggi, se non ai carnefici diretti, al conformismo consenziente o anche solo prudente, o indifferente al destino altrui, o al non voler sapere per evitare responsabilità o inquietudine, a tutti quegli atteggiamenti, insomma, individuali e sociali, che hanno permesso che Auschwitz avvenisse? O che una grave negazione d’altri, anche meno estrema di Auschwitz, possa prodursi? Al di là della indignazione e memoria per le atrocità di massa, del necessario ricordo delle vittime, la domanda che si pone per la nostra attualità è questa: che ne è della nostra normalità, dove può portare o essere portata? Come è successo che nella nazione di più alta cultura e scienza grandi masse siano state “educate male”, educate cioè al conformismo di regime, al risentimento, al nazionalismo, al vittimismo istigato alla rivalsa sul mondo, al narcisismo di “razza”, a tal punto da generare un unicum eccezionale e mostruoso? Queste sono le domande al centro della nostra memoria.

Giuseppe Cavalli racconterà brevemente i motivi che hanno scatenato la II Guerra Mondiale, la presa del potere di Hitler, la “Soluzione finale del problema Ebraico”, la fine della guerra, il processo di Norimberga, la fuga dei criminali Nazisti, fra cui Eichmann, la sua cattura, il processo e la condanna a morte. Tutte le iniziative sono promosse dall’ Associazione Pro loco Museo della Stampa di Soncino, Il Giorno della Memoria rappresenta, per tutte le comunità, un’opportunità di incontro e una significativa esperienza educativa. Un giorno che deve essere una presa di coscienza di ciò che l'uomo è stato capace di compiere e questo nella consapevolezza che dobbiamo fare tutto il possibile affinché non accada mai più.

Ex Filanda Meroni
LARGO CATTANEO, 1
Soncino (CR)
037.484883
Locandina
ingresso gratuito